L’osteoporosi è la più comune malattia ossea metabolica. È caratterizzata da un’elevata fragilità ossea ed è legata a vari fattori tra cui la menopausa e l’invecchiamento. È una malattia dello scheletro caratterizzata da una riduzione della resistenza ossea, che rende più frequente il rischio di frattura. La resistenza ossea dipende da due fattori principali: la densità minerale ossea (BMD) e la qualità dell’osso. Sono diversi i fattori che possono incidere sulla resistenza ossea e, silenziosamente negli anni, farla diminuire fino a provocare una vera e propria fragilità.
L’osteoporosi è presente in tutte le fasce di età, genere e razza, anche se è più comune negli anziani e nelle donne. , soprattutto a causa dell’invecchiamento della popolazione. Attualmente, si stima che siano oltre 200 milioni le persone con osteoporosi nel mondo, delle quali circa 4 milioni in Italia (over 50).
È una malattia invalidante che può incidere profondamente sulla qualità di vita. Basti pensare che, nel mondo, provoca oltre 8,9 milioni di fratture all’anno.
L’osteoporosi non da’ sintomi evidenti fino a quando non si verifichi una frattura a seguito di un movimento anche banale, come sollevare una busta della spesa, e anche meno.
Le fratture osteoporotiche, soprattutto nel sesso maschile, sono associate ad una percentuale elevata di mortalità.
L’osteoporosi non ha cause ben precise e identificabili, quindi conoscere i fattori di rischio per l’osteoporosi è importante, sia perché su alcuni si può intervenire, sia perché in presenza di un rischio elevato il medico potrà consigliare indagini specifiche per valutare meglio la situazione. Le principali cause correlati all’osteoporosi sono:
- Età
- Sesso femminile
- Basso indice di massa corporea
- Pregressa frattura da fragilità (in particolare vertebre, comprese le fratture morfometriche, polso, femore e omero)
- Familiarità per frattura di femore/vertebre
- Fumo
- Alcool
- Carenza di vitamina D
- Menopausa prima dei 45 anni
- Ridotta attività fisica
- Immobilizzazione protratta
- Trapianti
- Ridotto introito di calcio
- Eccessivo introito di sodio
- Farmaci quali steroidi, terapie di blocco ormonale adiuvante (inibitori dell’aromatasi nelle donne operate per carcinoma della mammella, agonisti del GnRH negli uomini con carcinoma prostatico), Inibititori selettivi del re-uptake della serotonina e Inibitori di pompa.
L’osteoporosi è una patologia che non dà particolari sintomi o campanelli d’allarme.
È, quindi, importante tenere sotto controllo la densità calcica ( eseguire esami di densitometria ossea )per avere una diagnosi più precoce possibile.
Ci sono diversi parametri da tenere in considerazione per arrivare ad una diagnosi, in particolare il valore della densità minerale ossea (BMD) e per questo si ricorre alla densitometria ossea (DXA, detta più comunemente MOC), un esame non invasivo. Oltre alla DXA ci sono altre due tecniche di valutazione della massa ossea: l’Indagine ultrasonografica e la Tomografia computerizzata quantitativa (QTC).
La strategia di cura da adottare è bene che sia personalizzata.
Il trattamento non farmacologico dell’Osteoporosi prevede un adeguato apporto di calcio e vitamina D3: due elementi comunque indispensabili anche se si segue un trattamento farmacologico specifico, in quanto la carenza di calcio e/o vitamina D3 è la causa più comune di mancata risposta alla terapia farmacologica dell’osteoporosi.
L’incidenza di mancanza di vitamina D (ipovitaminosi) è piuttosto diffusa, specie in età avanzata. E questo perché solo il 20% del fabbisogno di vitamina D deriva dall’alimentazione; la componente principale deriva dall’ esposizione solare ai raggi UVB (sintesi endogena a livello cutaneo).
Per questo è importante, con l’età, integrare la dieta con vitamina D3. Se poi è associata ad un corretto introito di calcio potrebbe rivelarsi addirittura una strategia utile per prevenire l’osteoporosi. Le terapie per l’osteoporosi riducono il rischio di fratture.
I Bisfosfonati rappresentano uno dei cardini della terapia farmacologica. Le più recenti linee guida confermano che bifosfonati, anticorpi monoclonali umani diretti contro il RANKL e gli analoghi sintetici dell’ormone paratiroideo, riducono il rischio fratture.
I modulatori selettivi del recettore estrogenico (SERMs) sono efficaci nel ridurre le fratture vertebrali. Bisfosfonati e anticorpi monoclonali umani diretti contro il RANKL riducono anche il rischio di fratture dell’anca. E’ stato recentemente introdotto un anticorpo monoclonale umanizzato che si lega alla sclerostina, inibendola. Questo comporta un aumento della formazione ossea – aumentando la produzione di matrice ossea da parte degli osteoblasti – e il reclutamento di cellule osteoprogenitrici. Contemporaneamente, questo anticorpo monoclonale umanizzato altera l’espressione dei mediatori osteoclastici, riducendo il riassorbimento osseo. Complessivamente, questo duplice effetto di aumento della formazione ossea e riduzione del riassorbimento osseo comporta rapidi aumenti nella massa ossea trabecolare e corticale, con miglioramenti nella struttura e nella resistenza dell’osso.
Il trattamento con campi magnetici può aiutare il deposito di Calcio nell’osso.
Il trattamento con ionorisonanza magnetica ciclotronica pare avere un potente effetto in questo senso.
Sono riportati casi di risoluzione della necrosi asettica del femore e di stabilizzazione del crollo osteoporotico vertebrale, mediante questo trattamento.